There was a boy

Giorgio Barassi

A very strange enchanted boy ( Eden Ahbez, 'Nature boy' )

Gigi sedeva sulla sedia da cui lasciava penzolare le gambe coi pantaloncini corti.

Quel papà che sapeva far luccicare la sua tromba e aveva un'orchestra che portava il suo cognome, gli suonava 'Nature Boy' e lo teneva inchiodato lì.

Poi quel bimbo cominciò a sentire le parole della canzone, tanto diverse dal suono caldo dell'ottone suonato dal papà e ci si cominciò a riconoscere.

Una storia di musica, di arte e di pittura respirata come una specie di sana ossessione, condita dalla voglia di migliorarsi sempre.

Luigi Colombi 'Conte' è nato prendendo le note come un cibo naturale, per sognare e costruire credendo fermamente nei suoi sogni. Papà Giuseppe, che era il frontman dell'Orchestra Colombi, lo ha allevato facendogli sentire la musica e l'odore dei colori.

Era imbianchino e musicista. Sognatore e gran lavoratore.

Per Conte è arrivato tutto di conseguenza, e lui ci ha messo il piglio del pittore romantico, istintivo e irrefrenabile, da ambizione secca e decisa. Senza filtri, senza sconti.

Dipingere, per Conte, è vivere la felicità di un attimo che non deve avere troppo cervello in mezzo, perchè spezzerebbe la natura stessa di quel mistero che fa della mano la mera esecutrice di un impulso, di un pensiero, di una rabbia o di un amore senza moderazioni a fare da ostacolo.

Sarà stata quella musichina dolce, o anche lo swing e il jazz, e poi i ritmi dei locali pop e disco a condurlo fino alle sue mete, che sono sempre in movimento e gli disvelano altre mete (e a noi, fortunati, altre opere)?

Sarà stata quella voglia di vedere il divertimento negli occhi dei suoi ospiti, la soddisfazione nello sguardo di chi accede al suo operato che gli avrà dettato i passi?

Certo che i successi di Colombi sono tanti e multiformi. Come quella sua invenzione magnifica e storicizzata, il 'Rocambole' di Poviglio, nel cuore di una crudele e fredda (ma ricca di occasioni e di umanità) bassa reggiana, tanto ignota a quelli di città quanto accogliente per chiunque.

La sua creatura è stata un tempio della disco, ma anche un palcoscenico per i più grandi artisti della scena cabarettistica degli anni ottanta, vissuti col ruggito dei migliori anche da chi scrive, che del 'Rocambole' era prima frequentatore e poi, grazie proprio a Colombi, protagonista.

Per evitare nostalgie divaganti e concentrarci sulle sue fatiche di artista non bastano poche righe. L'informale lo ha sperimentato da sempre, le astrazioni da cui nascono le 'geometrie imperfette' (che magnifico ossimoro!) sono state passaggio obbligato e sperimentazione convinta.

Ma dove Conte eccelle senza dubbio è nella purezza del suo informale.

Ci hanno massacrati con quel ripetere ossessivo 'Informale o tachismela tache a macchia' su ogni libro, ogni opuscolo, ogni catalogo che tenta di spiegare l'inspiegabile.

Perchè informale o non O si fa o non si fa. Per questo Conte ha scelto di farlo.

Per la perentorietà con cui si scelgono le strade. 'Questa è la mia', sembra dirci ad ogni pennellata, ad ogni esperimento, ad ogni puntino di colore che segna le sue tele come il cammino già percorso, come il sogno già sognato.

Luigi Colombi, in arte e nei modi garbati Conte, segna la sua strada.

Nel rispetto della tradizione artistica da rispettare. Come se volesse ridare alle sue orecchie il suono dolce della tromba di papà andandolo a cercare a sferzate di colore, a colpi di pittura sentita, vibrante, potente come un acuto e dolce come una chiusura sfumata di un brano di tanti anni fa.

Un'anima semplice ma mai doma, la sua. Uno scalpitare continuo di sentimenti e passioni, un ribollire di sensazioni che non vede l'ora di trasferire sulle tele. Una sorta di sana inquietudine che non si placa. Provateci voi, a dirgli di fermarsi su questa o quell'altra ricerca. Non vi darà retta. Mentre pensa allultimo quadro, ha già in mente in prossimo. Anzi, lo ha nella sua anima di giramondo dei sentimenti e delle passioni senza fine.

Giorgio Barassi

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